Associazione Futura
Description
Associazione politica e culturale.
Tell your friends
RECENT FACEBOOK POSTS
facebook.comTimeline Photos
Buon Anno Nuovo a tutti da Associazione Futura !!!
LA COSTITUZIONE VA ATTUATA…ANCHE A GAGGIANO! Diciannove milioni e mezzo di italiani hanno detto che la riforma costituzionale scritta dalla ministra Boschi e sponsorizzata da Matteo Renzi non gli piace e con un sonoro no l’hanno bocciata. Ma la vera riforma della Costituzione è attuarla. Anche a Gaggiano! Prendiamo le Borse di Studio Daccò e vediamo che il Regolamento comunale non rispetta il diritto allo studio che trova il suo fondamento nell’art.34, commi 3 e 4, della Costituzione secondo cui: “I capaci e meritevoli anche se privi di mezzi hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi” e “La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze che devono essere attribuite per concorso”. Ebbene, i requisiti per l’accesso alle Borse di Studio devono contemplare, in modo coerente con l’art.34 della Costituzione, criteri relativi sia al merito e sia alla condizione economica degli studenti. Peraltro, il nesso con la realizzazione dell’eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, comma 2 della Costituzione caratterizza il diritto allo studio principalmente come diretto a realizzare le condizioni per l’esercizio del diritto all’istruzione nonostante la presenza di ostacoli di natura economica. In altri termini, secondo il dettato costituzionale, i poveri capaci e meritevoli vanno trattati diversamente da i ricchi capaci e meritevoli mentre i poveri non capaci e meritevoli vanno trattati come i ricchi non capaci e meritevoli. Domanda: il Regolamento per il conferimento delle Borse di Studio Daccò rispetta la garanzia costituzionale del diritto allo studio? Risposta: no! Il Regolamento, inspiegabilmente, non prevede alcun requisito economico. I requisiti per partecipare al concorso sono soltanto di merito (previsti dall’art.2 del Regolamento visibile sul sito internet del Comune). Per cui allo studente primo classificato e beneficiario della Borsa di Studio, indipendentemente da concreti bisogni economici, è concessa annualmente, sino al completamento del corso di laurea nel tempo naturale previsto, un premio di mantenimento di Euro 2.000,00 all’anno (art.9 del Regolamento). In conclusione, il Regolamento per il conferimento delle Borse di Studio Daccò non rispetta la garanzia costituzionale del diritto allo studio poiché, non prevede alcun requisito economico e tratta allo stesso modo i poveri capaci e meritevoli ed i ricchi capaci e meritevoli, così da causare un’iniqua redistribuzione di denaro dovuta all’erogazione delle borse di studio a studenti in condizioni economiche agiate. È per questa ragione che, l’Associazione Futura ha chiesto mesi fa la modificazione del regolamento nel rispetto della garanzia costituzionale del diritto allo studio. Purtroppo, pure stavolta, siamo stati ignorati. Chiediamo, quindi, ai riformatori della Costituzione che siedono in consiglio comunale di fare un vero atto eversivo: attuate la Costituzione anche a Gaggiano! Associazione Futura
L’Italia s’è desta. Ha vinto la Costituzione. Ha perso il plebiscito. Ha vinto il popolo. Ha perso il populismo cinico. Ha vinto la sovranità del popolo. Ha perso il dogma per cui non ci sarebbe alternativa. Ha vinto la voglia di continuare a contare. Di continuare a votare. Ha perso chi voleva prendersi una delega in bianco. Ha vinto la partecipazione, il bisogno di una buona politica. Ha perso la retorica dell’antipolitica brandita dal governo. Ha vinto un’idea di comunità. Ha perso il narcisismo del capo. Ha vinto la mobilitazione dal basso, senza mezzi e senza padrini. Ha perso chi ha messo le mani sull’informazione, chi ha abusato delle istituzioni senza alcun ritegno. Ha perso Giorgio Napolitano: che avrebbe dovuto unire, e invece ha scelto di dividere. Ha perso Matteo Renzi, con tutta la sua corte: ma solo perché hanno voluto cercare nello sfascio della Costituzione una legittimazione che non avevano mai avuto nelle urne elettorali. Un presidente del Consiglio che si dimette perché ha intrecciato irresponsabilmente la sorte di un governo e la riforma della Costituzione. Rivelatore il suo discorso: Renzi non ha detto di aver sbagliato. Ha detto di aver perso (difficile dire il contrario). Ma non hanno vinto la Lega, il Movimento 5 Stelle o la Sinistra. Hanno vinto tutti i cittadini. Anche quelli che hanno votato Sì: perché tutti continuiamo ad essere garantiti da una Costituzione vera. Che protegge tutti: e in particolare proprio chi perde. Chi è in minoranza. Chi non ce la fa. E ora non raccontateci che l’Italia non vuole guardare avanti. È vero il contrario: l’Italia ha capito che questo non era un cambiamento. Ha vinto l’Italia che vuole cambiare verso. Ma davvero. E ora che succede? Succede che la Costituzione rimane quella scritta da Calamandrei, La Pira, Basso, Moro e Togliatti. Non quella riscritta dalla Boschi e da Verdini. Il campo da gioco c’è ancora. Da oggi si gioca.
Associazione Futura
Referendum: perchè NO !
Chi non vorrebbe la riduzione del numero dei parlamentari? giusta osservazione Prof. Angiolini, ma il prezzo da pagare qual'è?
Gustavo Zagrebelsky: “Costituzione indifesa come a Weimar. Fermiamo gli apprendisti stregoni” | Libertà e Giustizia
http://www.libertaegiustizia.it/2016/11/29/gustavo-zagrebelsky-costituzione-indifesa-come-a-weimar-fermiamo-gli-apprendisti-stregoni/
EPICO! Gustavo Zagrebelsky come diventa il Senato?
Marco Travaglio - Vittorio Zucconi / Di Martedì 22 Novembre 2016
https://www.youtube.com/watch?v=J2F7_-nemXM https://www.youtube.com/watch?v=R6beYSz8av4 https://www.youtube.com/watch?v=S1aGh2bkW1s
Timeline Photos
Dopo 5 mesi è tornato il Consiglio comunale.
L’incoerenza di Napolitano | Libertà e Giustizia
http://www.libertaegiustizia.it/2016/11/23/lincoerenza-di-napolitano/
Le rane chiedono un re All’arroganza di Renzi che ha pensato di usare le riforme per legittimare il proprio potere contingente, lacerando il Paese su regole che dovrebbero appartenere a tutti, sbeffeggiando a colpi di slogan tutti coloro (presidenti della Corte Costituzionale compresi) la pensano diversamente, occorre rammentare la favola del greco Esopo: “Le rane chiedono un re”. “Delle rane essendo scontente per la propria mancanza di un'autorità inviarono degli ambasciatori a Zeus per chiedere di procurare loro un re. Ed egli conoscendo la loro ingenuità gettò un legno sulla palude. E le rane dapprima spaventate per il rumore si immersero nelle profondità della palude, ma in seguito, quando il legno fu immobile, risalite giunsero a tal punto di disprezzo che addirittura salite su di esso vi si sedevano sopra. E mal sopportando di avere un tale re si recarono per la seconda volta da Zeus e lo esortarono a cambiare loro il governante. Infatti il primo era troppo inattivo. E Zeus sdegnatosi con loro mandò loro una biscia, dalla quale, catturate, venivano divorate. Il racconto dimostra che è meglio avere dei governanti inattivi che sovvertitori”. Gianluca Gatti Associazione Futura
Referendum costituzionale: perché voto No. Il prossimo 4 dicembre saremo chiamati a votare il referendum sulla legge di riforma costituzionale che interviene su 47 articoli della Parte II della nostra Costituzione. Perché attorno alle revisioni costituzionali si scatenano sempre tante passioni? Perché una Costituzione “rigida” come la nostra è la fonte gerarchicamente sovraordinata dell’ordinamento; quella che tutti gli altri atti normativi e i poteri statuali devono rispettare; l’atto che garantisce i diritti-doveri dei singoli e il principio di uguaglianza. Questo è, in estrema sintesi, il “nucleo” del Costituzionalismo, ovvero il prezioso frutto delle rivoluzioni di fine ‘700: un “miraggio” rimasto a lungo inevaso (o realizzato solo in minima parte), ma poi definitivamente rinvigorito dopo le tragedie dei totalitarismi del ‘900, proprio in quanto ritenuto un efficace antidoto al loro riaffacciarsi. Ecco quindi perché -come già scriveva Aristotele- “correggere una Costituzione non è impresa minore del costruirla la prima volta”: insomma, anche la revisione di una Costituzione democratica non deve mai dimenticare la sua missione originaria. Ciò premesso, il 4 dicembre il voterò No al quesito referendario. Voterò No per una ragione di metodo ed una di contenuto. Quella di metodo è il modo in cui è stata fatta la riforma. In primo luogo, siamo al cospetto di un d.d.l. costituzionale d’iniziativa governativa su una materia di tipica competenza parlamentare. La prova inequivocabile della paternità della riforma in capo al Governo sta nella scelta di Renzi di trasformare la consultazione popolare in un Armageddon. Renzi ne fa un plebiscito su se stesso, e al suo esito lega il proprio destino futuro: così il voto viene politicizzato e reso di fatto estraneo al merito della riforma. In secondo luogo, v’è il titolo ammiccante (e per certi versi irritante): “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione”. A essere sottolineati sono quindi profili non sempre prioritari nel tessuto della riforma ma probabilmente assai utili ai fini di una campagna referendaria condotta a colpi di slogan. In terzo luogo, ed è quel che è peggio, è che l’attuale Parlamento -che ha approvato la riforma costituzionale sulla quale andremo a votare- è stato eletto con una legge elettorale definita dal suo stesso proponente “una porcata” (e, quindi, nota con il nome di porcellum) che la Corte Costituzionale -con sentenza n.1/2014- ha dichiarato incostituzionale. Due le ragioni di incostituzionalità, entrambe su aspetti di grande rilievo: il primo per la mancata previsione per l'elettore di esprimere un voto di preferenza, con la conseguenza che gli eletti sono scelti dalle segreterie dei partiti politici e non dagli elettori, il secondo per l'attribuzione di un premio di maggioranza tale da premiare oltre il limite della ragionevolezza il partito che ottiene il maggior numero di voti. La legge elettorale è stata, quindi, dichiarata incostituzionale non per un qualche vizio di forma o di secondaria importanza, ma per violazione di principi basilari della nostra Costituzione. Se è vero che la Corte ha voluto precisare che le leggi già approvate da questo Par¬lamento non divenivano incostituzionali e che pure il medesimo poteva continuare a legiferare, dubbi molto seri possono nutrirsi sulla legittimazione politica (più che giuridica) di questo parlamento ad approvare una così ampia riforma costituzionale. Insomma, un Parlamento eletto con legge incostituzionale, che ha "rotto il rapporto di rappresentanza" (testuale), non è legittimato a modificare la Costituzione che, ricordiamo, fu approvata nel 1947 con 458 voti favorevoli (e solo 62 contrari) da un’Assemblea Costituente scelta e legittimata dai cittadini. Esaminata la critica di metodo, analizzo qui di seguito la critica di contenuto della riforma costituzionale. Anzitutto la riforma costituzionale è connessa alla nuova legge elettorale per l'elezione della Camera dei Deputati, la n. 52/2015 denominata “italicum”, che sostanzialmente riproduce le norme del porcellum. L'accoppiata italicum - revisione costituzionale rende evi¬dente come il vero obiettivo delle riforme sia lo sposta¬mento dell'asse istituzionale a favore dell'esecutivo. In estrema sintesi, l’italicum stabilisce che la lista (non la coalizione) che raggiunge il 40% dei suffragi al primo turno venga premiata con 340 seggi (ovvero con il 54% dei seggi disponibili), contro i 290 seggi che potranno al massimo essere conquistati dall’opposizione. Se nessuna lista raggiungesse il 40%, si prevede un turno di ballottaggio tra le due liste più votate (senza possibilità di apparentamenti formali): il vincitore raccoglierà (ancora) 340 seggi. I partiti che decidessero di “correre da soli” devono invece raggiungere almeno la soglia del 3% per ottenere una rappresentanza. Il voto dell’elettore s’intende dato per il capolista (bloccato). Inoltre, ciascun capolista potrà presentarsi in più collegi, fino a un massimo di 10. Se eletto in più collegi, dovrà "optare" per uno di essi, cioè scegliere in quale essere proclamato (lasciando il posto al primo dei non eletti negli altri collegi). L'accoppiata italicum-riforme costituzionali, pertanto, consente ad una lista che in sede di ballottaggio abbia raggiunto anche solo il 20-25% dei voti di ottenere la maggioranza dei seggi alla Camera, continuando a prevedere uno sproporzionato premio di maggioranza. Il vero obiettivo che muove la sua approvazione è quello di gestire il potere senza ostacoli e limiti da parte di nessuno, cittadini compresi. L'abnorme premio di maggioranza (che nei paesi dell’Unione Europea ha solamente l’Ungheria di Orban) unitamente alla mancanza di una soglia di accesso al ballottaggio rende l'italicum chiaramente incostituzionale. In definitiva, un solo partito con pochi consensi reali nel Paese potrebbe avere in Parlamento una maggioranza blindata, mentre tutti gli altri soggetti politici, che pure assommano nel totale maggiori consensi, dovrebbero dividersi i seggi rimanenti. La riforma costituzionale prevede poi che questa maggioranza (fittizia) di eletti - che rappresenta una minoranza di elettori - voti la fiducia al Governo e faccia le leggi ordinarie. Non solo. Con ben 340 seggi alla Camera potrà anche: – influenzare l'approvazione delle riforme costituzionali; – dichiarare lo stato di guerra (spetta alla sola Camera e sono sufficienti 316 voti, cioè la maggioranza assoluta dei membri); – decidere su amnistia e indulto (spetta alla Camera e servono 80 voti in più di quelli assicurati dal premio); – derogare alle competenze regionali in nome dell’interesse nazionale; – imporre alla Camera una votazione a data certa su un proprio disegno di legge; – decidere i regolamenti parlamentari; – precisare il contenuto dello statuto delle opposizioni, che dovrebbe tutelare le minoranze parlamentari ma - come ogni altro regolamento parlamentare - è destinato ad essere approvato a maggioranza assoluta; – condizionare l’elezione degli organi di garanzia, quali il Presidente della Repubblica, i membri del Consiglio Superiore della Magistratura e i giudici della Corte costituzionale. Tutto è sacrificato alla logica della stabilità, della governabilità, della velocità del "decidere". Insomma, la volontà è quella di trasformare il Parlamento in un Consiglio comunale di tipico un piccolo comune italico. Ma i disastri sono sotto gli occhi di tutto. La riforma costituzionale intende cambiare 47 articoli della Costituzione (vale a dire, più di 1/3 del totale). Qui di seguito le criticità più evidenti. Anzitutto, la composizione del Parlamento. La Camera continua a essere composta da 630 de¬putati. Cambia invece la composizione del Senato, che da 315 membri scende a 100 così suddivisi: – 74 consiglieri regionali, eletti dai Consigli regionali (oltre che da quelli provinciali di Trento e Bolzano); – 21 sindaci, eletti dai Consigli regionali (oltre che da quelli provinciali di Trento e Bolzano) fra tutti i sindaci dei Comuni della Regione e nella misura di uno per ciascuna; – 5 senatori, nominati dal Presidente della Repubblica con mandato di 7 anni non rinnovabile. A cambiare sono, però, soprattutto le modalità di scelta (che non sono più rimesse direttamente agli elettori, ma passano per il “filo rosso” dei consigli regionali secondo tre criteri, tra loro fortemente contraddittori ed ambigui). Un punto molto delicato riguarda la natura della rappresentanza senatoriale. Il nuovo art. 55, co. 5, Cost. dice che "il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali" (la rappresentanza "della Nazione" è riservata ai soli deputati). Ma cosa significa, esattamente, rappresentare le "istituzioni territoriali"? Nessuna norma lo specifica. Inoltre, i 95 senatori con incarichi nelle istituzioni territoriali non dovranno dimettersi dalla loro funzione di consigliere regionale o di sindaco, ma continueranno a svolgerla part-time. La durata del mandato di senatore coinciderà con quella di consigliere regionale e di sindaco. Avremo, quindi, un Senato a formazione progressiva, soggetto a variazioni continue in ragione delle diverse scadenze degli organismi territoriali. In conclusione, che cosa dovrebbe rappresentare e come dovrebbe funzionare il nuovo Senato non è, in definitiva, affatto chiaro. Critiche sono anche le funzioni del Parlamento. In tema di funzioni, la principale novità, rispetto alla Costituzione attuale, è che solo la Camera sarà titolare del rapporto di fiducia col governo (nuovo art. 55, co. 4, Cost.). Chiaramente, con una legge elettorale ipermaggioritaria come l'italicum, che assegna 340 seggi al partito che prende più voti, il voto di fiducia si riduce a una formalità. Ne deriva una conseguenza importante: nonostante quel che dice l'art. 55, co. 4, Cost. ("la Camera dei deputati esercita la fun¬zione di indirizzo politico"), l'indirizzo politico si col¬locherà di fatto al di fuori dal sistema parlamentare: a stabilire tale indirizzo non sarà più il Parlamento -vale a dire l'insieme dei partiti chiamati a determinare, con il loro concorso, la politica nazionale- ma esclusivamente il premier, eletto direttamente dai cittadini a capo di una docile maggioranza parlamentare assoluta. Da un sistema parlamentare si giungerà quindi ad una forma di "premierato assoluto”. Da un sistema di funzioni legislative, oggi l'art. 70 Cost. è lapidario: "la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere". La nuova versione voluta dai riformatori non è agevolmente riproducibile: racchiude subordinate complesse, irte di rimandi interni (mai comparsi prima in Costituzione) che rendono il testo complicato anche per un addetto ai lavori; figurarsi per un cittadino. Nel tentativo di superare il bicameralismo paritario, mantenendo però una competenza legislativa in capo al Senato, la riforma ha determinato la previsione di un ginepraio di nove differenti procedimenti legislativi e precisamente: il procedimento bicamerale; quello monocamerale, con la possibilità per il senato di richiedere modifiche o integrazioni; quello monocamerale con ruolo rinforzato per il senato nel caso di leggi espressive della c.d. clausola di supremazia; quello particolare relativo ai disegni di legge ai sensi dell'art. 81, 4° comma, Cost.; quello abbreviato per ragioni di urgenza; quello «a data certa»; quello relativo a leggi di conversione di decreti legge; quello per le proposte di legge di iniziativa popolare e infine quello conseguente alla richiesta del senato, ai sensi dell'art. 71, 2° comma, Cost. Niente cambia, nel senso che il procedimento di approvazione rimane quello bicamerale paritario, per tutta una serie di leggi, scorrendo le quali risulta davvero arduo individuare una ratio unitaria che giustifichi tale scelta (e ciò probabilmente perché tale ratio non esiste). In definitiva: avevamo un solo procedimento legislativo; ora arriviamo ad avere dieci procedimenti differenti! Ma la riforma non doveva servire a "semplificare" il sistema? Viene anche modificato il Titolo V realizzando una netta inversione di tendenza rispetto alla riforma del Titolo V realizzata nel 2001, prevedendo una nuova ripartizione delle materie - di competenza, rispettivamente, dello Stato o delle Regioni ordinarie - e reintroducendo una clausola di supremazia statale. Si sconfessa, così, l'evoluzione storica, sociale, economica e politica degli ultimi decenni. Nulla cambia, invece, per le Regioni a Statuto speciale, che mantengono intatti i propri privilegi e sprechi (tipo è il caso della Regione Sicilia). In conclusione, reputo che in Italia la “malattia” sia “politica” e non “costituzionale” e che la “medicina” che si sta somministrando con questa riforma sia dannosa. Si dice che il meglio è nemico del bene. Purtroppo, in materia costituzionale “nuovo” e “bene” non necessariamente coincidono. Per questo voto No. Gianluca Gatti Associazione Futura