Top Local Places

Studio Elia

Via Giovanni Antonio Scopoli 10, Pavia, Italy
Business Service

Description

ad

Specializzato nella consulenza societaria, fiscale, contabile e amministrativa rivolta alle piccole/medie imprese, e pubbliche amministrazioni. Lo Studio Elia vanta una decennale esperienza che gli permette di soddisfare le richieste di aziende, societa’, privati, ed enti locali.

Lo Studio é specializzato nei settori della consulenza contabile, fiscale, societaria, e amministrativa con particolare riguardo alle pubbliche amministrazioni quali enti locali.

Lo Studio si avvale di una rete di prestigiosi professionisti.

L Studio offre inoltre a tutti i suoi clienti un servizio di aggiornamento tempestivo in relazione alle novità normative.

CONTACT

RECENT FACEBOOK POSTS

facebook.com

Aumentano le esenzioni dal canone RAI Con un decreto sarà esteso a 8.000 euro (dagli attuali 6.713,98 euro) il reddito che consente l’esenzione dal pagamento del canone Rai per coloro che hanno compiuto 75 anni.I soggetti esentati passeranno a 350mila rispetto ai 115mila di oggi.

facebook.com

Le novità del modello 730/2018 Con il provvedimento n. 10793 del 15 gennaio 2018 sono state pubblicate sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate i modelli e le relative istruzioni della dichiarazione 730 a valere sui redditi 2017. Di seguito sono elencate le principali novità contenute nel modello. In merito alle modalità di presentazione, ai redditi di fabbricati ed ai redditi di lavoro dipendente ed assimilati si segnala: presentazione del modello 730: sono state aggiornate le istruzioni del modello 730/2018 (rispetto alle bozze pubblicate) con il nuovo termine del 23 luglio per l’invio della dichiarazione: anche i contribuenti che si avvalgono dell’assistenza fiscale prestata dai Caf e dai professionisti abilitati, possono quindi presentare il modello 730/2018 entro il 23 luglio 2018; locazioni brevi e cedolare secca: entra nel 730/2018 anche la nuova disciplina fiscale per i contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, situati in Italia, la cui durata non supera i 30 giorni e stipulati da persone fisiche al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa. In questo caso, il reddito derivante da queste locazioni costituisce reddito fondiario per il proprietario dell’immobile (o per il titolare di altro diritto reale) e va indicato nel quadro B. Tali contratti di locazione, se stipulati a decorrere dal 1 giugno 2017 e conclusi con l’intervento di soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, anche attraverso la gestione di portali on line, devono essere assoggettati ad una ritenuta del 21% se tali soggetti intervengono nel pagamento o incassano i canoni o i corrispettivi derivanti dai contratti di locazione breve; la ritenuta è effettuata nel momento in cui l’intermediario riversa le somme al locatore ed è applicata sull’importo del canone o sul corrispettivo lordo indicato nel contratto. Nel nuovo 730 è stato aggiornato anche il rigo F8, in modo da poter indicare l’importo delle ritenute riportato nel quadro Certificazione Redditi. Inoltre a decorrere dal 1 giugno 2017 i comodatari e gli affittuari che locano gli immobili o per periodi non superiori a 30 giorni possono assoggettare a cedolare secca i relativi redditi; per il sublocatore o il comodatario, tale reddito costituisce reddito diverso e va indicato nel quadro D, al rigo D4, con il nuovo codice “10”; premi di risultato e welfare aziendale: è stato innalzato da euro 2.000 ad euro 3.000 il limite dei premi di risultato da assoggettare a tassazione agevolata. Il limite è stato innalzato ad euro 4.000 se l’azienda coinvolge pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro e se i contratti collettivi aziendali o territoriali sono stati stipulati fino al 24 aprile 2017. In materia di detrazioni si segnalano invece le seguenti novità: sisma bonus: tra i vari aggiornamenti del nuovo modello rientrano anche le percentuali di detrazione più ampie per le spese sostenute per gli interventi antisismici effettuati su parti comuni di edifici condominiali e per gli interventi che comportano una riduzione della classe di rischio sismico; eco bonus: sono previste percentuali di detrazione più ampie per alcune spese per interventi di riqualificazione energetica di parti comuni degli edifici condominiali; spese di istruzione: è stato aumentato il limite per le spese d’istruzione per la frequenza di scuole dell’infanzia, del primo ciclo di istruzione e della scuola secondaria di secondo grado del sistema nazionale d’istruzione (passato da 564 a 717 euro), su cui poter beneficiare della detrazione del 19%; spese sostenute da studenti universitari: limitatamente agli anni d’imposta 2017 e 2018 il requisito della distanza previsto per fruire della detrazione del 19% dei canoni di locazione si intende rispettato anche se l’Università è situata all’interno della stessa provincia ed è ridotto a 50 chilometri per gli studenti residenti in zone montane o disagiate; spese sanitarie: limitatamente agli anni d’imposta 2017 e 2018 sono detraibili le spese sostenute per l’acquisto di alimenti a fini medici speciali, inseriti nella sezione A1 del Registro nazionale di cui all’articolo 7 del Decreto del ministro della sanità 8 giugno 2001, pubblicato in G.U. n. 154 del 5 luglio 2001, con esclusione di quelli destinati ai lattanti. In materia di crediti d’imposta invece si segnala che dal 27 dicembre 2017 è possibile fruire del credito d’imposta per le erogazioni cultura (“art-bonus”) anche per le erogazioni liberali effettuate nei confronti delle istituzioni concertistico – orchestrali, dei teatri nazionali, dei teatri di rilevante interesse culturale, dei festival, delle imprese e dei centri di produzione teatrale e di danza, nonché dei circuiti di distribuzione. Infine si segnalano le seguenti ulteriori novità: borse di studio: sono esenti le borse di studio nazionali per il merito e per la mobilità erogate dalla “Fondazione Articolo 34”; cinque per mille: da quest’anno è possibile destinare una quota pari al cinque per mille della propria imposta sul reddito a sostegno degli enti gestori delle aree protette; addizionale comunale all’irpef: nel rigo “domicilio fiscale al 1° gennaio 2017” presente nel frontespizio del modello è stata inserita la casella “Fusione comuni”; contributo di solidarietà: da quest’anno non trova più applicazione il regime fiscale denominato “contributo di solidarietà”.

facebook.com

facebook.com

facebook.com

Accertamenti TIA – TARSU: la Cassazione ha fissato il termine di decadenza Termine di decadenza degli accertamenti TIA – TARSU: la questione controversa concerne la determinazione del termine iniziale per la dichiarazione da parte del contribuente, da cui computare il termine di decadenza del Comune per la notifica dell’avviso di accertamento Tarsu/Tia L’ art. 1, comma 161, L. 27/12/2006, n. 296 prevede che “gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonché all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica o d’ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati“. Tale disciplina aumenta a cinque anni il termine di decadenza, essendo stato abrogato con l’art. 1, comma 172, L. 296/2006, con decorrenza 01/07/2007, il previgente art. 71, c.1, D.Igs 507/93 che prevedeva il termine triennale di decadenza. Il comma 171 del medesimo art. 1 L. n. 296/2006 prevede, inoltre, che le nuove disposizioni, tra cui la nuova procedura di accertamento e i relativi termini, si applicano anche ai rapporti di imposta precedenti al 1° gennaio 2007, data di entrata in vigore della legge finanziaria. L’art. 70, comma 1, D.Igs 507/93 recita “i soggetti di cui all’art. 63 presentano al Comune, entro il 20 gennaio successivo all’inizio dell’occupazione o detenzione, denuncia unica dei locali ed aree tassabili siti nel territorio del Comune”. L’ente locale ritiene, invece, che il termine sia quello del “20 gennaio dell’anno successivo all’inizio dell’occupazione“. Per risolvere il quesito occorre, al riguardo, differenziare il caso in cui la detenzione o occupazione dei locali è in corso fin dall’inizio del periodo di imposta e, comunque, prima del 20 gennaio, dal caso in cui tale situazione si sia verificata in epoca successiva. Nel primo caso, il termine di decadenza decorre dall’anno corrente, nel secondo caso, dal 20 gennaio dell’anno successivo. La chiara interpretazione del dettato normativo non consente di ritenere che il termine del 20 gennaio debba riferirsi all’anno successivo a quello in cui la denuncia o il versamento dell’imposta dovevano essere effettuati. Pertanto, a fronte del chiaro dato normativo, le occupazioni iniziate tra il 1° e il 19 gennaio devono essere dichiarate entro il 20 gennaio immediatamente successivo, cioè dello stesso anno, mentre le occupazioni successive al 20 gennaio vanno dichiarate entro il 20 gennaio dell’anno successivo. Tale termine costituisce un non irragionevole spartiacque, nella applicazione del c.d. doppio binario, anche se per le occupazioni iniziate il 19 gennaio il termine sarà di un solo giorno, mentre per quelle iniziate il 21 gennaio sarà di 364 giorni. Ove si accedesse alla tesi del Comune, non illogica ma priva di supporto normativo, le medesime conseguenze si verificherebbero nel caso di occupazione iniziata il 31 dicembre rispetto a quella iniziata il 1° gennaio dell’anno successivo (cfr Cass. 21/06/2016 n. 12795). Ove il legislatore avesse inteso postergare il momento dichiarativo all’anno successivo l’avrebbe espressamente previsto, così come individuato in tema di Ici dall’art. 10, comma 4, D.Igs 504/92 che recita “i soggetti passivi devono dichiarare gli immobili posseduti nel territorio dello Stato, con esclusione di quelli esenti dall’imposta di cui all’articolo 7,su apposito modulo entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui il possesso ha avuto inizio“, cioè l’anno successivo a quello oggetto di imposizione. Questi importanti principi sono stati stabiliti dalla Corte di Cassazione – Sez. Tributaria Civile – con la sentenza n. 22224 depositata il 3 novembre 2016. Nel caso di specie, oggetto di causa, non era controverso che l’occupazione fosse iniziata fin dall’inizio dell’anno e quindi il termine per potere avanzare la pretesa impositiva da parte dell’Ente, relativamente alla tassa per il 2003, era il 31/12/2008 e doveva, quindi, considerarsi tardivo, per intervenuta decadenza, l’accertamento notificato l’11/03/2009. I contribuenti devono tenere conto di questi principi quando intendono contestare la decadenza degli accertamenti dei Comuni.

facebook.com

Bando Resto al sud: le domande si presenteranno a Gennaio 2018 Finalmente, dopo una lunga attesa, dal prossimo 15 gennaio 2018 sarà possibile presentare le domande a Invitalia per gli incentivi Resto al Sud. La nuova agevolazione ha come obiettivo quello di facilitare la nascita di nuove micro e piccole imprese nel Sud Italia per riuscire a sostenere la crescita economica. L’incentivo è determinante per lo sviluppo economico del nostro Paese e per lanciare le ultime misure adottate dal Governo a favore dei giovani meridionali. Per la misura sono stati stanziati 1.250 milioni di euro e per rafforzare la misura è stato firmato anche un accordo per regolare l’accesso al credito dei giovani che presenteranno domanda per Resto al Sud: verrà dunque garantito anche il totale abbattimento degli interessi per chi accede alle agevolazioni (finanziamento a tasso zero). Ricordiamo che per l’intervento agevolativo è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale n.141 il D.L. 20.6.2017, n. 91, recante “Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno”. Il Provvedimento, entrato in vigore il 21 giugno 2017, si compone di 17 articoli e IV Capi ed è rivolto ai soggetti di età compresa tra i 18 ed i 35 anni di età residenti in Abruzzo, Molise, Sardegna, Basilicata, Puglia, Campania, Calabria e Sicilia. Beneficiari L’intervento agevolativo è rivolto ai soggetti di età compresa tra i 18 i 35 anni età residenti in Abruzzo, Molise, Sardegna, Basilicata, Puglia, Campania, Calabria e Sicilia che presentino i seguenti requisiti: -siano residenti nelle regioni di cui al comma 1 al momento della presentazione della domanda o vi trasferiscano la residenza entro sessanta giorni dalla comunicazione del positivo esito dell’istruttoria; – non risultino già beneficiari, nell’ultimo triennio, di ulteriori misure a livello nazionale a favore dell’auto-imprenditorialità. I soggetti beneficiari della misura devono mantenere la residenza nelle predette regioni per tutta la durata del finanziamento e le imprese e le società devono avere, per tutta la durata del finanziamento, sede legale e operativa in una delle regioni agevolate. Progetti agevolabili Sono agevolati i progetti relativi alla produzione di beni nei settori dell’agricoltura, dell’artigianato o dell’industria, ovvero relativi alla fornitura di servizi a favore delle imprese appartenenti a qualsiasi settore. Al decreto sono state apportate delle modifiche che hanno consentito di estendere l’agevolazione anche alle attività del settore turistico. Sono escluse le attività libero professionali e del commercio. Importo agevolabile Le agevolazioni saranno concesse fino ad un massimo di 50.000 euro per ciascun richiedente. L’intervento finanziato per il 35% sarà a fondo perduto erogato dal soggetto gestore della misura e per il restante 65% dovrà essere rimborsato in 8 anni a tasso zero. Il prestito sarà effettuato da una banca con la copertura dello Stato attraverso il Fondo di Garanzia PMI. Il finanziamento del Governo, però, non può coprire le spese per la progettazione dell’impresa e per il personale. Nel caso in cui l’istanza sia presentata da più soggetti già costituiti o che intendano costituirsi in forma societaria, ivi incluse le società cooperative, l’importo massimo del finanziamento erogabile è pari a 50 mila euro per ciascun socio che presenti i requisiti richiesti, fino ad un ammontare massimo complessivo di 200 mila euro. Evidenziamo che la domanda per accedere al finanziamento “Resto al Sud” può essere inoltrata anche dalle imprese ancora da costituire; queste però dovranno costituirsi come impresa individuale, società o cooperativa. Presentazione domande Le domande di accesso ai finanziamenti potranno essere presentate a partire dal 15 Gennaio 2018 fino ad esaurimento delle risorse stanziate, in via telematica a Invitalia, attraverso una piattaforma dedicata sul sito istituzionale dell’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa S.p.A.. Invitalia, che opera come soggetto gestore della misura, valuterà i progetti proposti in ordine cronologico di arrivo. Le domande, in particolare, possono essere presentate dai soggetti che siano già costituiti al momento della presentazione o si costituiscano entro 60 giorni dalla data di comunicazione del positivo esito dell’istruttoria nelle seguenti forme giuridiche: • impresa individuale; • società, ivi incluse le società cooperative. sede legale e operativa in una delle regioni agevolate.

facebook.com

Saldo IMU/TASI entro il 18 dicembre Entro il prossimo 18 dicembre (il 16 dicembre cade di sabato), i contribuenti interessati sono tenuti al versamento della seconda rata, a titolo di saldo, dell’IMU/TASI dovuta per l’anno 2017 in relazione alle tipologie di immobili che non risultano escluse o esentate dal pagamento del tributo. Per il calcolo del “saldo” IMU/TASI occorre prendere a riferimento le aliquote nonché le detrazioni approvate dai singoli Comuni per l’anno 2017, a condizione che le relative delibere siano state inviate al Ministero dell’economia, per il tramite dell’apposito “portale del federalismo fiscale”, entro il 16 ottobre 2017 (il 14 cade di sabato), e lo stesso abbia provveduto alla loro pubblicazione entro il termine del 30 ottobre 2017 (il 28 cade di sabato). Se il Comune non ha inviato la propria deliberazione entro il 16 ottobre 2017, per la seconda rata dell’imposta occorrerà considerare le aliquote approvate nel 2016. Si ricorda che, per entrambe le imposte, il versamento per l’anno 2017 è dovuto in due rate di pari importo, mentre per gli enti non commerciali l’IMU va versata in 3 rate di cui: le prime due entro il 16/06 e il 16/12 dell’anno di imposizione (2017), ciascuna pari al 50% dell’imposta complessivamente dovuta per l’anno precedente (2016); la terza a conguaglio dell’imposta complessivamente dovuta, entro il 16 giugno dell’anno successivo a quello cui si riferisce il versamento. Disciplina IMU: aspetti generali Il presupposto dell’IMU è il possesso di fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli. L’abitazione principale, ossia l’unità immobiliare in cui il soggetto passivo ed il suo nucleo familiare risiedono anagraficamente e dimorano abitualmente, è stata assoggettata all’IMU negli anni 2012 e 2013. A decorrere dall’anno 2014, invece, la L. 147/2013 ha stabilito l’abolizione dell’IMU per le abitazioni principali, ad eccezione di quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, per le quali resta ferma l’applicazione dell’aliquota ridotta e della detrazione. Sono “equiparate” per legge all’abitazione principale le seguenti fattispecie: le unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale e relative pertinenze dei soci assegnatari, ivi incluse le unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa destinate a studenti universitari soci assegnatari, anche in deroga al richiesto requisito della residenza anagrafica; i fabbricati di civile abitazione destinati ad alloggi sociali (M. 22/04/2008); la casa coniugale assegnata al coniuge, a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio; l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, posseduto, e non concesso in locazione, dal personale in servizio permanente appartenente alle Forze armate e alle Forze di polizia ad ordinamento militare e da quello dipendente delle Forze di polizia ad ordinamento civile, nonché dal personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e dal personale appartenente alla carriera prefettizia, per il quale non sono richieste le condizioni della dimora abituale e della residenza anagrafica; l’unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato e iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE), già pensionati nei rispettivi Paesi di residenza, a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata o data in comodato d’uso. Il Comune, inoltre, ha la “facoltà” di equiparare all’abitazione principale l’unità immobiliare posseduta a titolo di proprietà o di usufrutto da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, a condizione che la stessa non risulti locata. A decorrere dal 2016, invece, non è più prevista la facoltà per il Comune di considerare adibita ad abitazione principale l’unità immobiliare concessa dal soggetto passivo in comodato ai parenti in linea retta di primo grado che la utilizzano come abitazione principale. Per detta unità immobiliare data in comodato è prevista direttamente dalla legge la riduzione del 50% della base imponibile, fatta eccezione per le abitazioni classificate A/1, A/8 e A/9 e purché ricorrano le seguenti condizioni: il contratto di comodato sia registrato, il comodante possieda un solo immobile in Italia, il comodante risieda anagraficamente nonché dimori abitualmente nello stesso comune in cui è situato l’immobile concesso in comodato. La riduzione della base imponibile si applica anche nel caso in cui il comodante oltre all’immobile concesso in comodato possieda nello stesso comune un altro immobile adibito a propria abitazione principale, ad eccezione delle unità abitative classificate A/1, A/8 e A/9. In sintesi, l’IMU è dovuta dai seguenti soggetti: proprietario di fabbricati, aree fabbricabili e terreni; titolare del diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie sugli stessi; coniuge assegnatario della casa coniugale a seguito di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio; concessionario nel caso di concessione di aree demaniali; locatario per gli immobili, anche da costruire o in costruzione, concessi in locazione finanziaria. Disciplina TASI: aspetti generali La TASI è stata introdotta, a decorrere dal 2014, dalla L. 147/2013 quale imposta facente parte, insieme all’IMU e alla TARI, della IUC. Il presupposto della TASI è il possesso o la detenzione di fabbricati e di aree fabbricabili, con esclusione dell’abitazione principale diversa da quella classificata nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 e dei terreni agricoli. Occorre precisare che l’abitazione principale è stata soggetta alla TASI negli anni 2014 e 2015, mentre la Legge 208/2015 ne ha previsto l’esclusione, con la conseguenza che tale tipologia di immobile è ora sottratta sia all’IMU che alla TASI. L’esclusione dalla TASI opera non solo nel caso in cui l’unità immobiliare sia adibita ad abitazione principale dal possessore ma anche nell’ipotesi in cui sia l’occupante a destinare l’immobile detenuto ad abitazione principale. In quest’ultimo caso, la TASI è dovuta solo dal possessore, il quale verserà l’imposta nella misura percentuale stabilita nel regolamento comunale oppure, in mancanza di una specifica disposizione del Comune, nella misura del 90%. Quanto alla nozione di abitazione principale rilevante ai fini TASI, si deve far riferimento alla medesima definizione stabilita per l’IMU dall’articolo 13, comma 2, del D.L. 201/2011, che la individua nell’unità immobiliare in cui il soggetto passivo ed il suo nucleo familiare risiedono anagraficamente e dimorano abitualmente, ivi comprese le pertinenze nei limiti stabiliti dallo stesso comma 2. Valgono, inoltre, le medesime ipotesi di “equiparazione” per legge o per regolamento comunale previste per l’IMU. La TASI è dovuta dal titolare del diritto reale (proprietario, titolare del diritto di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie) e, nel caso in cui l’immobile sia occupato da un soggetto diverso da quest’ultimo, anche dall’occupante. I due soggetti sono titolari di un’autonoma obbligazione tributaria e l’occupante deve corrispondere l’imposta nella misura, stabilita dal comune nel regolamento, compresa tra il 10% e il 30%, mentre la restante parte è a carico del titolare del titolare del diritto reale. In caso di mancata previsione della percentuale di ripartizione dell’imposta tra i due soggetti, la TASI è dovuta dal titolare del diritto reale nella misura del 90% e dall’occupante nella misura del 10%. Nelle ipotesi di assimilazione all’abitazione principale l’obbligo di versamento della TASI ricade, invece, interamente sul titolare del diritto reale e non sull’occupante. Per quanto riguarda, poi, l’unità immobiliare assegnata dal giudice in caso di separazione, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, il coniuge assegnatario è l’unico soggetto tenuto al versamento della TASI, in quanto, come per l’IMU, deve considerarsi quale titolare del diritto reale di abitazione.

facebook.com

Come verificare se il Comune ha gonfiato il calcolo della TARI In attesa dell’elenco dei Comuni che hanno erroneamente calcolato la TARI, vediamo come capire se l’importo della tassa sui rifiuti è gonfiato dal dettaglio immobili dell’avviso di pagamento Fino a quando non verrà pubblicato l’elenco dei Comuni che erroneamente hanno calcolato l’importo della TARI, il contribuente potrà verificare l’eventuale gonfiatura dell’importo visionando l’avviso di pagamento (dal 2014), nella parte relativa al dettaglio immobili e degli importi da pagare, vediamo come con un esempio di avviso di pagamento. Si ricorda che, come riportato nell'informativa contenuta negli avvisi di pagamento inviati, in caso di utenze domestiche la tariffa variabile va calcolata una sola volta per l'immobile principale (abitazione) e le sue pertinenze. Pertanto, nel caso in cui sull'avviso di pagamento saldo TARI l'importo della tariffa variabile sia indicato anche per immobili che sono pertinenze dell'abitazione (come nell'esempio sotto riportato di un Avviso di pagamento del Comune di Lucera, relativo ad una abitazione di mq. 100 con box di mq. 10), occorrerà procedere alla richiesta di rimborso: Abitazione di 100 mq con garage di 10 mq con famiglia di due componenti. quota fissa 1,28 x mq quota variabile 121,58 euro CALCOLO CORRETTO Abitazione 128,00 euro (1,28 *100 mq) + 121,58 euro=249,58 euro Garage 12,80 euro (1,28*10 mq) + 12,80 euro Alla tassa così calcolata si applica inoltre il 4% per il tributo provinciale (il tributo è determinato dalla Provincia in misura non inferiore all'1 per cento né superiore al 5 per cento delle tariffe della tassa sui rifiuti) 10,49 euro TOTALE CORRETTO € 272,87 euro -CALCOLO ERRATO Abitazione 128,00 euro (1,28 *100 mq) + 121,58 euro=249,58 euro Garage 12,80 euro (1,28*10 mq) + 121,58 euro=134,38 euro Alla tassa così calcolata si applica inoltre il 4% per il tributo provinciale (il tributo è determinato dalla Provincia in misura non inferiore all'1 per cento né superiore al 5 per cento delle tariffe della tassa sui rifiuti) 15,35 euro TOTALE ERRATO € 399,31 euro Quanto al rimborso richiedibile dal contribuente, ricordiamo che: - potrà essere richiesto solo riguardo alle annualità a partire dal 2014; - non potrà essere richiesto per importi che il contribuente abbia versato prima del 2014 a titolo di TARSU; - non potrà essere richiesto se i Comuni abbiano adottato (al posto della TARI) la TARIP. - L'istanza di rimborso dovrà essere proposta entro il termine di 5 anni dal giorno del versamento.

facebook.com

Rimborso TARI in eccesso. I comuni pronti a pagare L’ANCI informa che i comuni sono concordi nel rimborsare i cittadini che hanno versato in eccesso la TARI. TARI 2017:pubblicata la Circolare MEF con i chiarimenti. Esempi di calcolo TARI: chiarimenti sul calcolo della parte variabile Saldo Imu 2017, come si calcola 2° rata IMU e TASI 2017: le indicazioni del MEF sulle aliquote da applicare Microimprese zona Franca Emilia: codice tributo F24 Dichiarazione TASI per gli immobili non di proprietà: chiarimenti del MEF Prosegue la questione degli indebiti pagamenti TARI. I Comuni si dicono propensi a riparare all’errore, che ha portato parte dei contribuenti a versare un ammontare TARI superiore a quanto dovuto, mediante il rimedio dell’autotutela. Sul punto, i sindaci ricordano che se c’è stato un errore il rimborso sarà si dovuto, ma il suo finanziamento dovrà essere a sua volta coperto da un aumento dell’imposta a carico di quanti hanno pagato meno. Ricordiamo che la TARI introdotta, con la legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità per il 2014), è uno dei tributi che con IMU e TASI, vanno a comporre la IUC. L’idea alla base della TARI è quella secondo cui, il servizio fornito dai comuni debba essere coperto mediante il gettito ricavato dalla tassazione cui i contribuenti sono tenuti. Questa imposta, trova il suo fondamento normativo in quella che la vecchia disciplina che nel 1999 ha istituito la TARSU (D.P.R. 158/1999). Presupposto della TARI è il possesso (o detenzione) a qualsiasi titolo di locali o di zone scoperte suscettibili di produrre rifiuti di natura urbana; fatta esclusione per le aree scoperte pertinenti o accessorie a locali tassabili, nonché le aree comuni condominiali. Il tributo è corrisposto sulla base a tariffa riferita all’anno solare e commisurata, tenendo conto dei criteri determinati mediante il metodo normalizzato, ex D.P.R. n. 158 del 1999. Fuori dalla questione dell’indebito rincaro della TARI, restano quei Comuni (specie del Trentino Alto Adige, Veneto, Emilia Romagna e Lombardia) che applicano la TARIP introdotta con la Legge 147/2013

facebook.com

TARI: i chiarimenti del MEF e gli spiragli per il rimborso Arrivano i chiarimenti sull’applicazione della tassa sui rifiuti (Tari) relativa alle abitazioni. Con la circolare n. 1/DF del 20 novembre 2017, il dipartimento delle Finanze del Mef fornisce, in particolare, chiarimenti sul calcolo della parte variabile della stessa. La questione, sollevata in sede di interrogazione parlamentare, attiene al dubbio circa il se la quota variabile della Tari debba essere calcolata una sola volta anche nel caso in cui la superficie di riferimento dell’utenza domestica comprenda quella delle pertinenze dell’abitazione. Il dubbio è sorto poiché è risultato che le amministrazioni locali in alcune circostanze hanno calcolato l’importo della tassa considerando la quota variabile in relazione sia all’abitazione sia alle pertinenze. Attraverso questa modalità di calcolo la somma dovuta risulta molto più elevata rispetto a quella che emergerebbe computando la quota variabile una volta sola rispetto alla superficie totale. Il rimborso Definito il metodo corretto per il calcolo, la circolare precisa che i contribuenti che riscontrano conteggi errati da parte dei comuni (o dei gestori del servizio rifiuti) possono chiedere il rimborso degli importi indebitamente pagati.

facebook.com

La rilevanza fiscale dell’attività di prostituzione Sono oramai passati quasi dodici anni dalla storica sentenza della Commissione Tributaria di Milano Sez. XLVII, 22 dicembre 2005, n. 272 con la quale si sostenne l’intassabilità dei redditi derivanti dalla attività di prostituzione. Le ragioni dedotte dal Giudicante possono essere così sintetizzate: la mancanza dell’espressa indicazione della categoria reddituale cui il reddito andava ascritto, con ciò violandosi l’articolo 42 D.P.R. 600/1973 in materia di motivazione dell’atto impositivo – che deve contenere l’indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che ne stanno alla base -; la tassabilità non può essere determinata dalla previsione racchiusa nell’articolo 14 della Legge 537/1993 – secondo cui anche i proventi derivanti dallo svolgimento di attività illecite sono da sottoporre a tassazione -, atteso che detta attività non è illecita; si può ritenere che la somma percepita integri una sorta di risarcimento del danno, in ragione della lesione dell’integrità della dignità della persona insita nell’atto; i redditi percepiti da tale attività non potrebbero essere ascritti ad alcuna categoria reddituale contemplata dal Tuir. Fu più blanda la Commissione Tributaria di I grado di Bolzano, che con la sentenza resa dalla Sez. II, 24 febbraio 2015, n. 32, ne sostenne l’inquadrabilità tra i redditi di lavoro autonomo, con conseguente assoggettamento a tassazione, ma con disapplicazione delle sanzioni poichè l’attività – di meretricio resa da un uomo – “ondeggia tra legalità e contrarietà al buon costume”, con conseguente confusione sotto il profilo penale, civile e tributario. Tuttavia, la Corte di Cassazione, sez. V, si era espressa in senso contrario già con la sentenza 1 ottobre 2010, n. 20528, nella quale fu ritenuto che i proventi derivanti dall’esercizio dell’attività di prostituzione vanno assoggettati ad imposizione ai fini delle imposte sul reddito, dovendosi prescindere dalle implicazioni relative al giudizio morale e del comune sentire degli usi e costumi sociali. La tesi della tassabilità fu poi ribadita da Cassazione, Sez. V, 13 maggio 2011, n. 10578, secondo cui l’attività è tassabile ai fini dell’Iva, in quanto la stessa è svolta dal prestatore, con carattere di abitualità; ciò nella considerazione che detta attività consiste in una prestazione di servizio verso corrispettivo, quindi inquadrabile nell’ampia previsione contenuta nel secondo periodo dell’articolo 3, primo comma, del D.P.R. 633/1972. La sentenza implicitamente riprende alcune considerazioni svolte dalla citata pronuncia della CTP di Milano del 2005, contestandone la motivazione anche nella parte in cui si sostiene che l’intassabilità sarebbe frutto anche della giurisprudenza comunitaria: ed invero, così come evidenziato dalla sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 20 novembre 2001, in causa C-268/99 “la prostituzione costituisce una prestazione di servizi retribuita” che rientra nella nozione di “attività economica”. A conferma della tassabilità di questi redditi si veda anche Cassazione civ. Sez. V, 27 luglio 2016, n. 15596, secondo cui in tema d’Irpef, i proventi dell’attività di prostituzione svolta autonomamente sono assoggettabili ad imposta e sono riconducibili alla categoria dei redditi di lavoro autonomo, in caso di esercizio abituale, o a quella dei redditi diversi, in caso di esercizio occasionale, atteso che si tratta di prestazioni di servizi retribuite e, pertanto, di attività economica. La sentenza conferma la natura lecita di tale attività, a differenza del suo sfruttamento o favoreggiamento, i cui introiti, derivando da un reato, prima ancora che imponibili, sono confiscabili. Proprio riguardo a tale ultimo aspetto, Cassazione pen. Sez. III, 7 ottobre n. 42160 ha ritenuto che integra il delitto previsto e punito dall’articolo 5 del D.Lgs. 74/2000 l’omessa dichiarazione dei redditi derivanti dall’attività di sfruttamento dell’altrui prostituzione, in quanto ogni provento, anche illecito, costituisce reddito tassabile, la cui mancata indicazione nella dichiarazione annuale costituisce reato. Quest’ultima sentenza è di estrema rilevanza pratica, al di là del caso di specie, laddove si afferma che il “costo” sostenuto dallo sfruttatore per il pagamento dei compensi alle prostitute, essendo illecito, non è detraibile al fine di escludere il raggiungimento della soglia di punibilità prevista dalla legge. L’ultima sentenza in materia della Suprema Corte – caso Brocchini – pare essere la n. 224134 del novembre 2016, con la quale si conferma che il reddito derivante dalla attività di meretricio rientra tra quelli di lavoro autonomo, e che in assenza del requisito della abitualità, la sua tassazione è giustificata dalla previsione dell’articolo 67, lettera l), del Tuir, quale reddito di lavoro autonomo non esercitato abitualmente, ovvero dalla assunzione di obblighi di fare o permettere. Peraltro, in ordine alla eventuale ambiguità dell’atto impositivo che, secondo quanto rilevato dalla citata sentenza della CTP di Milano, non provveda a qualificare i redditi, va ricordato che secondo Cassazione civ. Sez. V, 15 marzo 2017, n. 6719, il giudizio tributario è di impugnazione-merito, con la conseguenza che l’accertamento che non deve annullarsi per vizi di forma impone alla commissione di accertare comunque l’ammontare del tributo dovuto.

facebook.com

Le ipotesi di interruzione del processo tributario L’articolo 40 D.Lgs. 546/1992 disciplina espressamente le ipotesi di interruzione del processo tributario. La norma prevede che se, dopo la proposizione del ricorso, si verifica: il venir meno, per morte o altre cause, o la perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti, diversa dall’ufficio tributario, o del suo legale rappresentante o la cessazione di tale rappresentanza; la morte, la radiazione o sospensione dall’albo o dall’elenco del difensore; il processo si interrompe. Alla morte va equiparata l’ipotesi di morte presunta dichiarata ai sensi dell’articolo 58 cod. civ.; costituiscono causa di interruzione anche l’interdizione o l’inabilitazione della parte diversa dall’ufficio. Il riferimento alla perdita di capacità di stare in giudizio “del rappresentante legale” non va letto come relativo al rappresentante legale di una persona giuridica (gli eventi incidenti sulla rappresentanza organica di un ente sono irrilevanti), bensì pensando al soggetto che, per legge, ha il potere/dovere di rappresentare un soggetto privo della capacità di agire quale, ad esempio, il minore. Per l’effetto dell’articolo 28, comma 4, D.Lgs 175/2014, ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione delle società – articolo 2495 cod. civ. – ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese. La perdita della capacità processuale del fallito non è invece assoluta, ma relativa e non comporta, nei giudizi aventi ad oggetto rapporti non derivanti dal fallimento, il venire meno della qualità di parte sostanziale del rapporto. Nell’inerzia e disinteresse degli organi della procedura, il fallito è legittimato ad agire o resistere per impedire che il terzo possa conseguire un titolo da far valere nei suoi confronti una volta tornato “in bonis” (Cass. 27346/2009, Cass. 7448/2012 e Cass. 17367/2012), senza che il terzo stesso possa proporre l’eccezione né il giudice possa rilevare d’ufficio il difetto di capacità (Cass. 22925/2012). Sono causa di interruzione del processo anche la morte, la radiazione o sospensione dall’albo/elenco del difensore; sono irrilevanti invece la revoca, la rinuncia del mandato professionale e la cancellazione volontaria dall’albo. Queste ultime non possono assolutamente essere equiparate alla morte o radiazione o sospensione perché sono “indipendenti dalla volontà dell’interessato, che non può affatto interferire sulla loro realizzazione neppure sotto il profilo temporale” (Cass. 12376/2014). Il decesso del difensore non provoca l’interruzione quando la procura ad litem è conferita disgiuntamente a più professionisti abilitati alla difesa nel processo tributario; qualora la procura sul punto nulla specifichi, “è da presumere, in mancanza di espressa volontà contraria della parte, che il mandato alle liti conferito a più difensori sia disgiunto” (Cass. 10635/2017). L’interruzione si ha al momento dell’evento se la parte sta in giudizio personalmente, se la vertenza ha valore inferiore ai 3.000 euro oppure se il professionista abilitato patrocini in jure proprio, e nelle ipotesi relative al difensore. In ogni altro caso, l’interruzione si ha al momento in cui l’evento è dichiarato o in pubblica udienza o per iscritto con apposita comunicazione del difensore della parte a cui l’evento si riferisce. Il momento finale è comunque l’esaurimento della fase di trattazione, quindi dalla chiusura della discussione in pubblica udienza o dalla scadenza del termine per il deposito di memorie di replica se il processo è in camera di consiglio. Il termine è riaperto se la Commissione, invece della sentenza, pronuncia ordinanza di continuazione. Per le ipotesi di interruzione relative alla parte diversa dall’ufficio, se l’evento si verifica durante la pendenza del termine per ricorrere, detto termine è prorogato per 6 mesi dalla data dell’evento; ad esso si applica per espressa previsione normativa la sospensione feriale dei termini.

facebook.com

Quiz

NEAR Studio Elia

Marcella Punto Estetico

Pavia, Italy
Spas/beauty/personal care